Le fonti per fare storia sono diverse.
Una storia può essere raccontata a partire da una presenza
silenziosa impressa da una fotografia in un giorno di festa.
Aprile 1944, nel centro Italia
imperversa la guerra. L’esercito tedesco e quello della Repubblica
Sociale Italiana da tempo stanno fronteggiando l’avanzata di uno
schieramento multietnico composto da inglesi, canadesi, neozelandesi,
sudafricani, indiani, americani, polacchi, greci e persino
brasiliani.
La costa e l’entroterra
dell’Adriatico, in attesa di quella serie di operazioni belliche
che prenderà il nome di Linea Gotica, sono nel frattempo vittime di
rastrellamenti e di stragi di civili. Da mesi le città più
popolose sono devastate da violenti bombardamenti che ciclicamente
seminano morte e cumuli di macerie.
Rimini si prepara a diventare il canale
d'ingresso alla Pianura Padana per gli alleati, ultimo step prima
della fine del conflitto. La cittadina romagnola – fino a qualche
anno prima meta balneare rinomata – è una città fantasma,
irriconoscibile ai suoi stessi abitanti, nel frattempo sfollati a
migliaia nella vicina Repubblica di San Marino.
Strano luogo San Marino. Piccola
nazione neutrale dall’impronta architettonica medievale, «antica
terra di libertà e accoglienza» e con un ordinamento politico
dal retaggio secolare di tutt’altro che semplice comprensione per
chi sammarinese non è.
Strano luogo deve essere parso ai
100.000 che da molte parti d’Italia giunsero sul Titano per
sfuggire ai bombardamenti e alla morte, quando gli fu spiegato che a
San Marino non esisteva un Parlamento, ma un Consiglio Grande e
Generale o che in quella minuscola porzione di territorio nessun
monarca aveva giurisdizione o, infine, che lì non vi era neppure un
Presidente (nonostante fosse una Repubblica), ma bensì due capi di
Stato chiamati Capitani Reggenti che da molti secoli si rinnovano in
carica due volte l’anno: il primo aprile e il primo ottobre.
Primo aprile
millenovecentoquarantaquattro, la caduta del fascismo italiano ha da
tempo stravolto sotto il piano politico anche questo piccolo Stato
dove, terminata un’esperienza analoga, si è istituito un governo
di unità nazionale. Orrore e morte circondano il Monte Titano,
tuttavia le sue secolari tradizioni devono essere onorate. Su tutte
quella più caratteristica: la cerimonia d’investitura dei Capitani
Reggenti.
Primo aprile
millenovecentoquarantaquattro, a San Marino è un giorno di festa e
come consuetudine l’intera manifestazione è immortalata dal
fotografo ufficiale. E proprio la foto ufficiale di quel
giorno «nasconde» un qualcosa di inaspettato.
Il Professor Francesco Balsimelli e
l’altro Capitano Reggente Sanzio Valentini sono ritratti in primo
piano nel corso del loro giro d’onore.
Alle loro spalle il Palazzo Pubblico
(sede della vita politica e istituzionale dello Stato).
Ai lati – come da prassi – le due
file della Guardia d’onore fanno loro corridoio. Tuttavia
qualcosa in questa foto sfugge al protocollo e al cerimoniere. In
fondo a destra, fra le guardie, è possibile intravedere tre civili
che curiosi e sorridenti fanno capolino tra i militari. Sono Regina
Grymberg ebrea polacca, sua madre Anna Pirkert e suo
figlio Edoardo. Tutti e tre sono ricercati per essere spediti in
un campo di sterminio e invece, quel giorno, sono immortalati nel
metro più ambito della più simbolica cerimonia di questo Stato.
Cerimonia di investitura capitani reggenti 1 aprile 1944 - particolare |
Non si trovano lì per caso, né
tantomeno perché, tra migliaia di curiosi, abili nell’accaparrarsi
il posto. Sono immortalati lì dal fotografo perché un sammarinese,
il Capitano Reggente che cammina alla testa del corteo, aveva
riservato per loro quella collocazione d’onore.
Esistono «due» copie di questa foto.
Una pubblica (presente nell’album ufficiale della Reggenza) e una
privata, appartenente (quasi a souvenir) a Edoardo Brambilla
Grymberg. L’immagine è identica, ma la unicità di una dedica
impressa su quest’ultima rappresenta la testimonianza del coraggio
di una città-Stato che seppe proteggere uomini, donne e bambini
destinati ai campi di sterminio.
Nello stesso identico momento in cui
questa veniva scattata, tutto quanto attorno a questo piccolissimo
lembo di terra, andava a fuoco e l'esercito tedesco lavorava a pieno
regime per l'eliminazione della «razza» ebraica. Nello stesso
momento in cui il fotografo immortalava la storia sulla cellulosa,
migliaia di ebrei venivano condotti nelle camere a gas, mentre quelli
che erano di fronte al suo obbiettivo, erano sereni e sorridenti.
«Essi erano parecchi, e vissero
indisturbati sotto le ali protettrici della libera Repubblica», ebbe
modo di scrivere – intervistato in merito – lo stesso Balsimelli
nel 1971. Lui ne conobbe diversi di loro durante i sei mesi in cui
ricoprì la sua carica, ma con Anna Pirkert, Regina Brambilla e
soprattutto il piccolo Edoardo ebbe un rapporto del tutto speciale.
Si trattò di un vero e proprio aiuto
nei confronti delle due donne e di una simbolica «adozione» nei
riguardi di quel bimbo che aveva soprannominato Edzio.
L’affetto nei loro confronti durò
molti mesi perché il loro a San Marino fu un lungo rifugio. Nata
a Varsavia la vigilia di Natale del 1907, nella capitale polacca
Regina aveva studiato per qualche anno Letteratura francese
all'università, senza però laurearsi. Successivamente, si trasferì
a Milano dove viveva da molto tempo la zia materna, nota cantante
lirica. Sua madre, nata nell’ottobre del 1874, la seguirà nel
marzo del '39. Nel capoluogo lombardo Regina si era sposata e proprio
pochi mesi dopo la promulgazione delle leggi razziali italiane aveva
dato alla luce Edoardo che, nonostante la giovane età, non
riuscì a evitare l’apertura di un fascicolo personale presso
il Ministero dell’Interno Direzione generale per la demorazza. Le
poche carte al suo interno mostrano il tentativo della Prefettura di
Milano di acquisire documentazione tale per decidere se, nato da
padre ariano e da madre ebrea straniera, Edoardo Brambilla, all’età
di un anno avesse già dovuto essere marchiato a vita. Le carte si
interrompono nel 1941. L’anno successivo la sua pratica non fu più
di competenza della Prefettura di Milano in quanto dal 24 giugno
assieme alla madre e alla nonna partì in direzione San Marino. Un
viaggio in treno, con tanto di baule al seguito, dopo il cambio a
Rimini dal grande convoglio a vapore alla piccola nuovissima ferrovia
elettrica, portò parte di questa famiglia sulla cima del monte
Titano. Il capofamiglia era stato arrestato e imprigionato in India.
Edoardo non ricorda quasi nulla dei tre anni passati in Repubblica,
ma tracce d’archivio, e fotografie permettono di ricostruire
molti passaggi di quel periodo trascorso in affitto in due belle case
del medievale centro storico. Di fatto, per lungo tempo, Regina visse
come una particolare donna sammarinese.
Del loro soggiorno a San Marino
rimangono oggi altre fotografie. In una madre e figlio sono ritratti
sorridenti ai piedi di uno dei luoghi simbolo di San Marino (la Prima
Torre). Si stringono la mano. Sorridono al fotografo.
Regina Brambilla con il figlio Edoardo davanti alla Prima Torre |
In un’altra sono ritratti tutti e
tre, nel più classico dei quadretti familiari. Anche in questo caso
sorridono, quasi a tradire il loro status di perseguitati
razziali.
Anna Pinkert, la figlia Regina Brambilla e il nipote Edoardo |
Quasi. C’è infatti un (piccolo)
particolare in entrambe le fotografie che sembra nascondere un
segreto. Edoardo è vestito e pettinato da bambina. Quelle lunghe
trecce furono il tentativo preventivo di una madre di nascondere agli
occhi dei tedeschi – qualora si fosse verificato un rastrellamento
– suo figlio.
A San Marino qualcuno (non tutti) ci
credette.
La popolazione più anziana si ricorda
di lei. Alcuni erano a conoscenza del fatto che fosse ebrea, altri
ricordavano avesse una figlia e non un figlio.
Regina Grymberg rimase a San Marino
ancora per diverso tempo. Non partì nei giorni immediatamente
successivi la ritirata delle truppe tedesche dal territorio nel
settembre 1944, ma sul finire dell’anno successivo.
Rimase così a lungo che nel frattempo
Edoardo si era fatto grande e, proprio in Repubblica aveva iniziato a
frequentare le scuole.
Durante il passaggio del fronte, tra il
1943 e il 1944, la Repubblica di San Marino mise a disposizione le
sue case, i suoi edifici (pubblici e religiosi) e le gallerie della
interrotta linea ferroviaria Rimini–San Marino per accogliere
decine di migliaia di profughi. Diverse furono le famiglie di ebrei
che il 1939 e il 1944 trovarono rifugio in centro storico e nelle
campagne che circondano il Monte Titano. Numerose loro storie si
intrecciano nei ricordi dei sammarinesi. Con questi ultimi
condivisero i terribili momenti della guerra e le piccole gioie che
potevano riservare quelle pause sempre più brevi fra bombardamenti e
incursioni di militari tedeschi. Ebrei furono ricoverati
nell’Ospedale della Misericordia, ebrei nacquero a San Marino,
ebrei – in collaborazione con cittadini sammarinesi – diedero il
via ad attività industriali che ancora oggi prosperano nella piccola
Repubblica.
Per loro, specie per i più piccoli, vi
fu anche molta paura e la vista di uno stivale attraverso una grata
era un allarme insegnato ai bambini che dovevano nascondersi dove
avevano raccomandato loro i genitori.
Alcuni di loro giunsero dopo un lungo
viaggio: un percorso a tappe di cui San Marino rappresentò
un «traguardo».
Vi fu chi arrivò dalla Germania, chi
dall’Austria o dalla Polonia, chi dalle diverse regioni del Regno e
chi dalla vicina Rimini. La loro fu una presenza silenziosa, ma in
molti casi contraddistinta da forti legami di amicizia.
Alcune delle loro storie, rimaste
nascoste sino alla pubblicazione de Il viale delle rose di
Giuseppe Marzi (2012), sono state raccontate nel gennaio 2013 e 2014,
durante il Giorno della memoria, per conto dell’associazione Valori
Tattili di Asset Banca; altre – frutto di ricerche nel territorio –
lo saranno in futuro.
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