Primo aprile millenovecentoquarantaquattro
di Davide Bagnaresi, Giuseppe Marzi, Antonio Morri

Le fonti per fare storia sono diverse. Una storia può essere raccontata a partire da una presenza silenziosa impressa da una fotografia in un giorno di festa.

Aprile 1944, nel centro Italia imperversa la guerra. L’esercito tedesco e quello della Repubblica Sociale Italiana da tempo stanno fronteggiando l’avanzata di uno schieramento multietnico composto da inglesi, canadesi, neozelandesi, sudafricani, indiani, americani, polacchi, greci e persino brasiliani. 

La costa e l’entroterra dell’Adriatico, in attesa di quella serie di operazioni belliche che prenderà il nome di Linea Gotica, sono nel frattempo vittime di rastrellamenti e di stragi di civili. Da mesi le città più popolose sono devastate da violenti bombardamenti che ciclicamente seminano morte e cumuli di macerie. 
Rimini si prepara a diventare il canale d'ingresso alla Pianura Padana per gli alleati, ultimo step prima della fine del conflitto. La cittadina romagnola – fino a qualche anno prima meta balneare rinomata – è una città fantasma, irriconoscibile ai suoi stessi abitanti, nel frattempo sfollati a migliaia nella vicina Repubblica di San Marino.

Strano luogo San Marino. Piccola nazione neutrale dall’impronta architettonica medievale, «antica terra di libertà e accoglienza» e con un ordinamento politico dal retaggio secolare di tutt’altro che semplice comprensione per chi sammarinese non è. 
Strano luogo deve essere parso ai 100.000 che da molte parti d’Italia giunsero sul Titano per sfuggire ai bombardamenti e alla morte, quando gli fu spiegato che a San Marino non esisteva un Parlamento, ma un Consiglio Grande e Generale o che in quella minuscola porzione di territorio nessun monarca aveva giurisdizione o, infine, che lì non vi era neppure un Presidente (nonostante fosse una Repubblica), ma bensì due capi di Stato chiamati Capitani Reggenti che da molti secoli si rinnovano in carica due volte l’anno: il primo aprile e il primo ottobre.

Primo aprile millenovecentoquarantaquattro, la caduta del fascismo italiano ha da tempo stravolto sotto il piano politico anche questo piccolo Stato dove, terminata un’esperienza analoga, si è istituito un governo di unità nazionale. Orrore e morte circondano il Monte Titano, tuttavia le sue secolari tradizioni devono essere onorate. Su tutte quella più caratteristica: la cerimonia d’investitura dei Capitani Reggenti. 
Primo aprile millenovecentoquarantaquattro, a San Marino è un giorno di festa e come consuetudine l’intera manifestazione è immortalata dal fotografo ufficiale. E proprio la foto ufficiale di quel giorno «nasconde» un qualcosa di inaspettato.

Il Professor Francesco Balsimelli e l’altro Capitano Reggente Sanzio Valentini sono ritratti in primo piano nel corso del loro giro d’onore. 
Alle loro spalle il Palazzo Pubblico (sede della vita politica e istituzionale dello Stato). 
Ai lati – come da prassi – le due file della Guardia d’onore fanno loro corridoio. Tuttavia qualcosa in questa foto sfugge al protocollo e al cerimoniere. In fondo a destra, fra le guardie, è possibile intravedere tre civili che curiosi e sorridenti fanno capolino tra i militari. Sono Regina Grymberg ebrea polacca, sua madre Anna Pirkert e suo figlio Edoardo. Tutti e tre sono ricercati per essere spediti in un campo di sterminio e invece, quel giorno, sono immortalati nel metro più ambito della più simbolica cerimonia di questo Stato. 

Cerimonia di investitura capitani reggenti 1 aprile 1944 - particolare


Non si trovano lì per caso, né tantomeno perché, tra migliaia di curiosi, abili nell’accaparrarsi il posto. Sono immortalati lì dal fotografo perché un sammarinese, il Capitano Reggente che cammina alla testa del corteo, aveva riservato per loro quella collocazione d’onore. 
Esistono «due» copie di questa foto. Una pubblica (presente nell’album ufficiale della Reggenza) e una privata, appartenente (quasi a souvenir) a Edoardo Brambilla Grymberg. L’immagine è identica, ma la unicità di una dedica impressa su quest’ultima rappresenta la testimonianza del coraggio di una città-Stato che seppe proteggere uomini, donne e bambini destinati ai campi di sterminio.

Nello stesso identico momento in cui questa veniva scattata, tutto quanto attorno a questo piccolissimo lembo di terra, andava a fuoco e l'esercito tedesco lavorava a pieno regime per l'eliminazione della «razza» ebraica. Nello stesso momento in cui il fotografo immortalava la storia sulla cellulosa, migliaia di ebrei venivano condotti nelle camere a gas, mentre quelli che erano di fronte al suo obbiettivo, erano sereni e sorridenti.
«Essi erano parecchi, e vissero indisturbati sotto le ali protettrici della libera Repubblica», ebbe modo di scrivere – intervistato in merito – lo stesso Balsimelli nel 1971. Lui ne conobbe diversi di loro durante i sei mesi in cui ricoprì la sua carica, ma con Anna Pirkert, Regina Brambilla e soprattutto il piccolo Edoardo ebbe un rapporto del tutto speciale. 
Si trattò di un vero e proprio aiuto nei confronti delle due donne e di una simbolica «adozione» nei riguardi di quel bimbo che aveva soprannominato Edzio. 
L’affetto nei loro confronti durò molti mesi perché il loro a San Marino fu un lungo rifugio. Nata a Varsavia la vigilia di Natale del 1907, nella capitale polacca Regina aveva studiato per qualche anno Letteratura francese all'università, senza però laurearsi. Successivamente, si trasferì a Milano dove viveva da molto tempo la zia materna, nota cantante lirica. Sua madre, nata nell’ottobre del 1874, la seguirà nel marzo del '39. Nel capoluogo lombardo Regina si era sposata e proprio pochi mesi dopo la promulgazione delle leggi razziali italiane aveva dato alla luce Edoardo che, nonostante la giovane età, non riuscì a evitare l’apertura di un fascicolo personale presso il Ministero dell’Interno Direzione generale per la demorazza. Le poche carte al suo interno mostrano il tentativo della Prefettura di Milano di acquisire documentazione tale per decidere se, nato da padre ariano e da madre ebrea straniera, Edoardo Brambilla, all’età di un anno avesse già dovuto essere marchiato a vita. Le carte si interrompono nel 1941. L’anno successivo la sua pratica non fu più di competenza della Prefettura di Milano in quanto dal 24 giugno assieme alla madre e alla nonna partì in direzione San Marino. Un viaggio in treno, con tanto di baule al seguito, dopo il cambio a Rimini dal grande convoglio a vapore alla piccola nuovissima ferrovia elettrica, portò parte di questa famiglia sulla cima del monte Titano. Il capofamiglia era stato arrestato e imprigionato in India. Edoardo non ricorda quasi nulla dei tre anni passati in Repubblica, ma tracce d’archivio, e fotografie permettono di ricostruire molti passaggi di quel periodo trascorso in affitto in due belle case del medievale centro storico. Di fatto, per lungo tempo, Regina visse come una particolare donna sammarinese. 
Del loro soggiorno a San Marino rimangono oggi altre fotografie. In una madre e figlio sono ritratti sorridenti ai piedi di uno dei luoghi simbolo di San Marino (la Prima Torre). Si stringono la mano. Sorridono al fotografo. 

Regina Brambilla con il figlio Edoardo davanti alla Prima Torre


In un’altra sono ritratti tutti e tre, nel più classico dei quadretti familiari. Anche in questo caso sorridono, quasi a tradire il loro status di perseguitati razziali.

Anna Pinkert, la figlia Regina Brambilla e il nipote Edoardo


Quasi. C’è infatti un (piccolo) particolare in entrambe le fotografie che sembra nascondere un segreto. Edoardo è vestito e pettinato da bambina. Quelle lunghe trecce furono il tentativo preventivo di una madre di nascondere agli occhi dei tedeschi – qualora si fosse verificato un rastrellamento – suo figlio. 
A San Marino qualcuno (non tutti) ci credette. 
La popolazione più anziana si ricorda di lei. Alcuni erano a conoscenza del fatto che fosse ebrea, altri ricordavano avesse una figlia e non un figlio. 

Regina Grymberg rimase a San Marino ancora per diverso tempo. Non partì nei giorni immediatamente successivi la ritirata delle truppe tedesche dal territorio nel settembre 1944, ma sul finire dell’anno successivo. 
Rimase così a lungo che nel frattempo Edoardo si era fatto grande e, proprio in Repubblica aveva iniziato a frequentare le scuole.

Durante il passaggio del fronte, tra il 1943 e il 1944, la Repubblica di San Marino mise a disposizione le sue case, i suoi edifici (pubblici e religiosi) e le gallerie della interrotta linea ferroviaria Rimini–San Marino per accogliere decine di migliaia di profughi. Diverse furono le famiglie di ebrei che il 1939 e il 1944 trovarono rifugio in centro storico e nelle campagne che circondano il Monte Titano. Numerose loro storie si intrecciano nei ricordi dei sammarinesi. Con questi ultimi condivisero i terribili momenti della guerra e le piccole gioie che potevano riservare quelle pause sempre più brevi fra bombardamenti e incursioni di militari tedeschi. Ebrei furono ricoverati nell’Ospedale della Misericordia, ebrei nacquero a San Marino, ebrei – in collaborazione con cittadini sammarinesi – diedero il via ad attività industriali che ancora oggi prosperano nella piccola Repubblica. 
Per loro, specie per i più piccoli, vi fu anche molta paura e la vista di uno stivale attraverso una grata era un allarme insegnato ai bambini che dovevano nascondersi dove avevano raccomandato loro i genitori.

Alcuni di loro giunsero dopo un lungo viaggio: un percorso a tappe di cui San Marino rappresentò un «traguardo». 
Vi fu chi arrivò dalla Germania, chi dall’Austria o dalla Polonia, chi dalle diverse regioni del Regno e chi dalla vicina Rimini. La loro fu una presenza silenziosa, ma in molti casi contraddistinta da forti legami di amicizia. 
Alcune delle loro storie, rimaste nascoste sino alla pubblicazione de Il viale delle rose di Giuseppe Marzi (2012), sono state raccontate nel gennaio 2013 e 2014, durante il Giorno della memoria, per conto dell’associazione Valori Tattili di Asset Banca; altre – frutto di ricerche nel territorio – lo saranno in futuro.

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